La Crisi delle Missioni
(Atti del XII Convegno Nazionale di Civitella del Tronto, Florence, 1992, pp. 129-132)
Sembrerebbe impossibile per un uomo ragionevole, cattolico o non cattolico, negare che l’opera missionaria della Chiesa, così sviluppata non tanti anni fa, sia quasi cessata. Si penserebbe invece che la gerarchia cattolica fosse in armi, ansiosa e preparata per una battagli volta a sottrarre al suo disastro l’attività missionaria. Ma non è per niente così. Infatti, secondo molti prelati (e molti preti, religiosi, religiose e laici) non c’è neanche una crisi. Queste persone sono abituate a interpretare anche le più allarmanti e incontrovertibili statistiche in una luce favorevole: anche la morte dell’intera Chiesa come forza sociale e politica parrebbe loro una vittoria di Dio, degna di essere festeggiata dal Vaticano.
La spiegazione di questo comportamento è, in parte, ovvia. Alcuni cattolici hanno accettato principi anticristiani e di conseguenza vogliono distruggere direttamente la vita missionaria. Ma si tratta di una minoranza; la maggioranza dei cattolici è cieca davanti al crollo missionario per ragioni psicologiche.
La più grave di queste ragioni è la sconfitta dell’Europa nella seconda guerra mondiale. Questa sconfitta è stata anche la più disastrosa sconfitta della Chiesa cattolica e ha costituito in senso metaforico il “pre-concilio” necessario per il concilio Vaticano II. Perché con la sconfitta europea l’autodistruzione della Chiesa era psicologicamente quasi assicurata.
Perché? Certo non perché “l’Europa” e “il nazismo” si identificassero, ma perché le cricostanze della storia legavano il vecchio continente, sfortunatamente, alle sorti della Germania nazista, e per la sconfitta di questa si rendeva necessario l’intervento di due potenze extraeuropee—l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti—che detestavano tutta la tradizione del vecchio continente e si accingevano a demolirla sotto l’accusa (ingiusta) di essere essa stessa “nazista”.
E perché la detestavano così? Perché queste due potenze rappresentavano due “teologie della liberazione”: il marxismo e il pluralismo. E tutte e due avevano bisogno, per la loro vittoria, della distruzione della verità cattolica e di tutte le verità naturali incarnate nella cultura europea, ispirata a una diversa concezione del mondo, del suo scopo e della liberazione dell’uomo.
Non c’è bisogno di spiegare in questa sede perché il marxismo sia un disastro per la Chiesa e per le verità naturali che essa difende. Ma vale la pena di dire qualcosa sul pluralismo, che è un mostro molto più sottile ed efficace.
Si dice che il pluralismo sia un “anti-ideologia”, in quanto auspica solo un “modo di vivere” pratico e prammatico, che dovrebbe assicurare l’armonia, l’ordine e l’opportunità di svilupparsi adeguatamente a tutte le religioni, le razze, le nazionalità, le culture, e, di conseguenza, le persone. Ma questa cosiddetta anti-ideologia diviene una ideologia del pratico e prammatico che esige, inesorabilmente, tre cose dagli uomini: che ciascuno subordoni inesorabilmente la sua religione e il suo comportamento alle esigenze pratiche di una società materialista; che rimanga “aperto” a tuttle le altre religioni e a tutti gli altri modelli di comportamento riconducibili a una logica materialista; e, finalmente, che riconosca un sommo valore spirituale a questa materializzazione dell’esistenza.
Il pluralismo diviene in questo modo “il delitto perfetto”. L’uomo che entra nel “ballo pluralistico” entra in una “dance macabre”. Perde il senso pieno della personalità umana, l’essenza della sua religione e cultura, il rispetto per gli studi veramente “spirituali”—quelli teologici e filosofici, che possono ricondurlo alla verità—e anche il tempo necessario per praticarli, visto che tutti I suoi sforzi debbono essere dedicati totalmente al lavoro necessario a guadagnare I mezzi utili al soddisfacimento dei suoi desideri materiali. E perde anche la consapevolezza di dover sostenere una battaglia, visto che il pluralismo si dichiara amico di tutto quello che egli stesso ama.
Infatti il pluralismo è una caricatura blasfema del Corpo mistico di Cristo, che cerca di armonizzare gli uomini sulla base delle loro differenze. E pluribus unum, il motto della patria del pluralismo, è l’antitesi del cattolicesimo, dove le diversità emergono da una sottomissione totale all’unità in Cristo.
Il marxismo e il pluralismo sono stati accettati da molti, anche da cattolici, dopo la sconfitta dell’Europa per la semplice ragione che I loro paladini, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, hanno vinto. Per la maggior parte dell’umanità, infatti, vincere significa sempre avere ragione. Psicologicamente, i cattolici si sentivano sconfitti con il resto dell’Europa, e, psicologicamente, adottavano come conseguenza il modello di vita che I conquistatori esigevano. La Chiesa poteva continuare a proclamare i “vecchi” principi e le vecchie abitudini sconfitte; ma i cattolici, pur accettandoli a parole, nei fatti vivevano un’altra realtà, seguivano un’altra via per la “liberazione”, quella marxista o quella pluralista, senza rendersi conto della dicotomia.
Il concilio non ha fatto altro che sancire ufficialmente il fatto compiuto: ha riconosciuto che i cattolici non erano più cattolici. Ma la Chiesa non avrebbe potuto rinnegare se stessa in un concilio generale normale; lo Spirito Santo non l’avrebbe permesso. Di qui l’esigenza di un altro modus operandi.
Allora il concilio ha agito con la classica strategia pluralistica. Ha iniziato dichiarando di non voler parlare di dottrine, ma solo della vita pratica dei cattolici (che non era più cattolica) e delle questioni prammatiche; e infatti si è comportato così. Ma, nella “dance macabre” dell pluralismo, un concilio “pastorale” diveniva il solo concilio della storia della Chiesa. Inoltre, dall’analisi del “pratico”, era facile giungere alle teorie, perché alla luce dei principi pluralistici ogni idea finiva per divenire accettabile e anzi il cattolico doveva assimilare un nuovo habitus, imparare a dimostrarsi “aperto”.
Chi amava il marxismo poteva adesso proclamare la propria via alla liberazione, vedendo nel comunismo una vittoria della Chiesa. E chi amava il pluralismo in se stesso, nella sua vita giornaliera, dove tutto era “bellisimo” e nice, anche l’omosessualità e l’aborto, poteva proclamare la propria “teologia della liberazione” e benedirla come cattolica. La sola cosa inaccettabile era la vecchia dottrina, smantellata e perseguitata brutalmente come “filofascista”, se non fascista essa stessa.
Questo era il colpo di grazia alla vita missionaria, sempre perseguitata in ogni secolo. Perché studiara, sacrificarsi, morire forse per dare ai non cattolici quello che abbiamo abbandonato fra di noi? Perché andare nei paaesi degli infedeli, se non per imparare come si potrebbero importare nei paesi cattolici le loro religioni? Perché non lasciare il vero lavoro missionario ai terroristi marxisti, o ai businessmen and advertisers, portatori dell’American way of life? Perché non unirsi a loro e andare in missione in jeans, con una coca-cola in mano e una mitraglia nell’altra?
Eppure, nonostante tutto, c’é un rinnovamento cattolico in corso. È un rinnovamento costruito sopra la Tradizione, come deve essere ogni vero rinnovamento. Questo rinnovamento, in quanto opera di una élite, per il momento piccola, mar sparsa ovunque nel mondo, è destinato alla vittoria.
Dal punto di vista umano, questa vittoria si avrà solamente quando la sudditanza psicologica ai conquistatori dell’Europa sarà totalmente finita. Sembra che questo sia già accaduto per quanto riguarda gli aperti assassini della civiltà, come i regimi sovietici. Ma le catene imposte a corpo, mente e spirito da quel sistema politico e sociale che distrugge l’essenza di una cultura e la riduce a stupidità—le catene pluralistiche—non sono state spezzate, anzi sono dappertutto più pesanti che mai.
Per questo motivo è necessario lavorare con la fede nella Provvidenza, perché solo aiutandoci con la grazia nella nostra crociata contro I barbari moderni possiamo togliere la benda con cui gli uomini si sono coperti gli occhi: una benda che impedisce di vedere la distruzione dell’uomo in nome dell’uomo.
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